Quale impatto? I numeri parlano come le parole 14 Maggio 2021

Da figlia di matematica, ho sempre avuto una predilezione per le parole. Le trovavo più malleabili, più sofisticate. Crescendo mi sono resa conto di quanto fossi in torto: la mia lingua quotidiana non parla a tutti quanto il linguaggio dei numeri. “Puoi portarmi un uomo che non sappia contare con le dita?”, domandava millenni fa il Libro dei Morti egizio [...]

editoriale a cura di Lucilla Tempesti

Le parole sono in grado di costruire la realtà tanto quanto i numeri, questi ultimi tuttavia ci aiutano a interpretarla aggrappandoci a un’illusione di certezza. Un’illusione, perché i numeri rimangono misteriosi, ancora di più a chi non ha l’abitudine di frequentarli: “Che cos’è il numero, che l’uomo lo può capire? E che cos’è l’uomo, che può capire il numero?” chiedeva il neurofisiologo Warren McCulloch.

Eppure, un’illusione di ordine che rassicura, e che continua a stupire.

Persino la casualità dei numeri primi è stata di recente smentita da due matematici della Stanford University, Robert Lemke Oliver e Kannan Soundararajan, che in un articolo del 2016, hanno dichiarato di aver trovato regolarità inattese nella distribuzione dei numeri primi.

Posso ragionevolmente pensare che tutto sia ordine, anche se non tutto mi è chiaro?

Con la certezza di non sapere, e l’illusione di poterlo sapere, mi appresto dunque a condividere i numeri che riguardano le donne che ogni giorno incontriamo nel nostro lavoro a Piano C.
Quando descriviamo il target che si rivolge ai nostri servizi di riprogettazione professionale, usiamo la definizione “capitale umano disperso”: in questo caso, non a caso, le parole corrispondono ai numeri.

  • La fascia di età più rappresentata è quella dai 31 ai 40 anni, seguita da quella dai 41 ai 50 anni.
  • Inferiori invece al 15% le fasce delle candidate minori di 30 anni e sopra i 51.
  • Il livello di istruzione delle candidate che partecipano alle nostre call è in genere molto elevato: più del 50% è laureata (primo e secondo livello) e una candidata su cinque ha un titolo di studio superiore alla laurea.
  • Il 50% delle candidate non ha figli. Poco più del 25% è costituito da chi ha un/a figlio/a solo/a, quasi il 20% da chi ne ha due.
  • Le madri di famiglie numerose (3 o 4 figli) raggiungono insieme poco più del 4%.

Questi dati fino a un anno fa si riferivano principalmente al territorio lombardo, considerato che la nostra erogazione formativa avveniva in presenza. Oggi, con un’erogazione interamente online, continuiamo ad avere una prevalenza di partecipanti lombarde a cui tuttavia iniziano ad affiancarsi donne da tutta Italia. I numeri vengono confermati, fatta eccezione per il dato sulla maternità. Sono infatti aumentate le donne con figli che si rivolgono a Piano C.

Volendo creare una correlazione artificiosa, potremmo dire che questo dato trova un eco nelle 99mila donne sui 101mila neo-disoccupati a dicembre 2020, di cui ci ha raccontato l’Istat a inizio 2021. Ma si tratta di una forzatura narrativa, e la interrompo qui.

Con questo target in aula io lavoro proprio sulla narrazione di sé: come valorizzarsi, come raccontare la propria esperienza, il valore, i percorsi discontinui e i profili ibridi? Non vi nascondo che talvolta il mio lavoro è difficile, talaltra inutile, e in entrambi i casi per la stessa ragione. Come faccio a rendere visibile un talento di cui sinora questo Paese non si è accorto?

È tutto lì, pronto per essere raccontato; a me basta riordinare, dare nuove priorità alla narrazione. Un pizzico di Marie Kondo, qualche gioco di parole, nulla più.

Tutte le volte accade la stessa cosa: finalmente in aula i numeri prendono voce.

Viviana: “Piano C è lo stimolo che cercavo da tempo, capace di darmi la forza di togliermi la responsabilità di sapere per forza “cosa” fare e il coraggio di confrontarmi con il mondo per fare emergere i miei talenti.”

Mariangela: “Piano C è un valido percorso di coaching ed empowerment professionale per focalizzarsi sulle proprie potenzialità condividendo con fantastiche compagne di viaggio le più piccole paure e le più grandi aspirazioni.”

Veronica: “Piano C è una finestra alternativa che si affaccia sul mondo femminile, è uno strumento di confronto e di incontro tra una moltitudine di idee, emozioni, sogni, obiettivi che ognuna di noi ha dentro di sé, ma che fatica a far emergere per paura che forse il sogno diventi realtà.”

Selma: “Forza, entusiasmo, voglia di riprovare, di rialzarsi fino, smarrimento necessario per potersi ritrovare, autostima, sostegno, riscoperta di sé. Questo è il percorso di piano C”.

Quale valore attribuire a questo talento sprecato, alle aspirazioni disattese? Come si racconta rispose Buddha nel corso della tenzone per ottenere la mano della bella Gopa, dopo aver nominato il numero degli atomi delle tremila migliaia di mondi: “Qui finiscono i calcoli, da qui inizia l’incalcolabile”.

Ora, in questo mese nel quale dal 1889 si celebra il lavoro in tutto il mondo, non posso che chiedermi dove sia finita la voce di queste lavoratrici.

In un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 proprio per lanciare per la prima volta questa ricorrenza, si leggeva: “In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare il posto che è dovuto a chi lavora.”

Il nostro lavoro quotidiano è affiancare le donne che si rivolgono a noi in questa “conquista”, che spesso ha il sapore della rivincita.


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