Osare immaginare 17 Maggio 2024

La paura di osare a volte ci blocca nell'agire e ci fa giocare al ribasso, quando in realtà abbiamo tutte le capacità per fare. Valentina Di Michele ci racconta come ha sconfitto il suo passeggero oscuro e di tutte le cose che non avrebbe osato immaginare e invece è riuscita a realizzare.

editoriale per Piano C a cura di Valentina Di Michele - Founder e Content Experience Manager a Officina Microtesti

Sono la prima persona della mia famiglia ad aver preso la laurea, e la prima ad aver scelto la strada da freelance prima e da imprenditrice poi.
A parte uno lontano cugino idraulico e una zia acquisita che ha un negozio, nessuno prima di me aveva tentato la strada dell’autonomia, nessuno l’aveva fatto lontano dalla città di origine, nessuno con una laurea ritenuta inutile in tasca.

Il mio percorso è simile a quello di moltissime donne in Italia. Sono nata in provincia, da genitori con l’esperienza del posto fisso dal diploma alla pensione, certi che una laurea umanistica servisse a diventare insegnante per “mettersi al sicuro”.
La sicurezza fa parte di una mitologia del ‘900: un lavoro da dipendente è più sicuro di uno a Partita IVA, lo stipendio mensile è più sicuro dell’incasso di una fattura.

I nostri percorsi di persone nate a cavallo tra due secoli hanno però incrociato cambiamenti tecnologici e culturali dirompenti: nonostante i tentativi di ingabbiarla e darle una direzione, ho scoperto che la vita ha sempre molta più fantasia di noi.

Dalla laurea a oggi ho fatto cose che non avrei mai osato immaginare.
Ho lavorato come collaboratrice in nero per delle riviste di cinema, come cocopro per un’agenzia di servizi, come dipendente a tempo determinato per un’azienda para-pubblica, come dipendente a tempo indeterminato per una multinazionale, come freelance e negli ultimi anni come imprenditrice, per me stessa.

Per osare immaginare devi pensarti però anche capace di fare; in mezzo c’è un problema di autostima, e prima ancora di paura.

Liberarsi del passeggero oscuro

Una mattina di dieci anni fa, ero in ufficio e mi hanno chiamato per una riunione. Avevo un contratto sicuro e un premio di produzione appena ricevuto, pensavo a un nuovo incarico più importante, e invece mi hanno consegnato una lettera di licenziamento.
Nuovo livello del videogame: cerco un altro lavoro da dipendente o oso qualcosa di diverso?

Il cambiamento fa parte della nostra esperienza umana. Lo desideriamo, lo cerchiamo disperatamente, eppure lo temiamo e tentiamo ogni strada pur di evitarlo. Ero stanca di quell’azienda, ma quando è arrivato il cambiamento ho cercato di resistere in ogni modo.

A volte però dentro di noi si muovono forze poderose: la paura di espormi al rischio di un nuovo licenziamento ha vinto sulla paura di osare.

E ho osato, partendo da quello che sapevo fare, progettare e scrivere contenuti digitali. Il modo di farlo era un salto nel vuoto: non sapevo nulla del mondo freelance, nella mia famiglia e tra le amicizie non ce n’erano, e praticamente non ne conoscevo.

Ho fatto moltissimi errori in quei primi tempi. La paura, il mio passeggero oscuro, mi impediva di fare valutazioni lucide, di capire cosa sapessi fare davvero, come farlo.
Di esplorare alternative, assorbire ispirazioni e generare nuove idee.

Però, indietro non si torna neanche per prendere la rincorsa (lo diceva il Che: para atrás ni para tomar impulso).

When in trouble, go big

Nel mondo anglosassone c’è un modo di dire bellissimo: “When in trouble, go big” (quando sei nei guai gioca al rialzo).
Puoi fingerti morta come opossum, oppure, semplicemente, osare.
L’energia che impieghiamo a restare bloccate o a tentare la sortita è la stessa. Perché non provare?

Nel 2019 ho creato una community su una disciplina appena nata all’estero (lo “UX Writing”) e contro ogni scommessa, la mia per prima, ha attirato tante attenzioni ed è cresciuta tanto da trasformare la mia Partita IVA in srl e dare vita alla mia società, Officina Microtesti.

L’anno scorso, ho fondato un evento dedicato al linguaggio chiaro. In Italia.
Che follia, ho pensato in un tumulto di autosabotaggio.
Eppure, il Festival DiParola ha accolto oltre 4.000 persone nella prima edizione, con un entusiasmo e una partecipazione travolgenti.   

Tra slanci e resistenze, in questi dieci anni di autonomia e libera impresa ho imparato che nel mercato c’è spazio per chiunque, che raramente gli errori sono dei fallimenti completi, e soprattutto che gli errori non sono mai fallimenti personali, perché errare è umano e il futuro è una terra straniera.

Mi è capitato ancora di non osare immaginare, di pensare di non essere capace di fare.

Poi un giorno, davanti all’ennesimo torrente di dubbi, un amico mi ha svelato quello che da sola non riuscivo a capire: se queste cose le hai fatte, vuol dire che capace di fare lo sei stata già.