Che storia! Martina Grotto 14 Luglio 2023

Martina Grotto, ex giocatrice agonistica di pallacanestro, oggi è Education project manager: si occupa di progetti dedicati alle nuove generazioni per farle crescere più consapevoli. E nel tempo libero allena i pulcini e le pulcine del minibasket.

a cura di Fabiola Noris

Quando non è sul campo di basket, Martina Grotto è Education project manager in un’agenzia di comunicazione educativa, La Fabbrica. Non la solita agenzia di comunicazione: qui i progetti sono tutti educational e Martina ci è arrivata in un momento in cui sentiva di voler cambiare per trovare un senso al suo lavoro.

Comunicare Educando

E il senso l’ha trovato in queste due parole che ha fatto subito sue. Comunicare Educando è la mission dell’agenzia in cui Martina crede.

“Scoprire e imparare quotidianamente cose nuove, dover approfondire contenuti nuovi e stare al passo con quelle che sono le esigenze della generazione z coincide con uno dei miei obiettivi personali: fornire ai giovani degli strumenti di consapevolezza.”

Questa è infatti la parte che più la appassiona: fornire ai giovani degli strumenti di consapevolezza su temi che solitamente a scuola non si tratterebbero o che magari lei stessa, a suo tempo, non aveva avuto modo di approfondire.

Martina si occupa di fare da mediatrice tra le aziende e i team interni: dalla presa in carico del progetto, passando per la sua realizzazione con i creativi e la redazione degli esperti, fino all’erogazione e alla promozione.

L’obiettivo di ogni singolo progetto è quello di generare un impatto positivo sulle nuove generazioni offrendo dei contenuti educativi e didattici che possano in qualche modo renderli cittadini più consapevoli e di conseguenza attori di quello che sarà il cambiamento e lo sviluppo sociale ed economico del Paese.

Per questo motivo i progetti che segue Martina sono quasi tutti legati agli obiettivi dell’agenda 2030: sostenibilità, educazione finanziaria, inclusione educazione alla parità di genere, educazione affettivo-sessuale.

Sport, formazione e consulenza: le tre costanti

Il percorso che ha portato Martina a inviare il cv tramite LinkedIn a La Fabbrica per candidarsi non è lineare ma ha un fil rouge, la sua passione per il basket che ha praticato per 20 anni e che l’ha vista giocare in Serie B a Varese. A 19 anni infatti decide di diventare istruttrice di minibasket ed è proprio grazie a questa qualifica che una volta terminati gli studi in Lettere moderne trova il suo primo lavoro in una cooperativa.

Il suo ruolo era prettamente operativo: si occupava di gestire i progetti sportivi nelle scuole materne ed elementari, gestiva il centro minibasket associato alla cooperativa e il camp estivo. Oltre all’organizzazione pratica e alla gestione, si occupava anche della stesura dei progetti per i bandi.

Una prima esperienza formativa ma l’animo da letterata soffriva la mancanza di una parte dedicata allo studio, all’approfondimento, alla scrittura. Da questa presa di coscienza è nata l’esigenza di cambiare.

Per quattro anni lavora così in una società di formazione e coaching dove si occupa prevalentemente di progettazione ed erogazione di formazione sulle soft-skills: dalla negoziazione alla comunicazione efficace passando per l’intelligenza emotiva.

Qui finalmente Martina riesce a dedicarsi alla parte che più le piace del suo lavoro, la scrittura di progetti. Macina ore e ore con la formazione in aula e ottiene la certificazione di Assessor Six Seconds nell’ambito dell’intelligenza emotiva.

“Le soft skills emotive sono quelle che mi hanno sempre interessato di più ed è la parte che ho scelto di tenere pur cambiando lavoro.”

L’interrogazione della noia

Ad un certo punto la formazione in aula prende il sopravvento e Martina sente che è arrivato il momento di cambiare. Vuole sperimentare in prima persona le dinamiche aziendali. Sente inoltre di aver esaurito la sua carica, come se il suo lavoro non apportasse più il valore che si era prefissata.

“C’è stata anche un’interrogazione profonda della mia noia. Dovuta proprio al fatto che faticavo a vedere il senso quotidiano del tempo che io spendevo in quello che facevo. Mi sono accorta interrogando la mia noia che come dice Vasco Brondi, è inutile cercare le cose giuste nei posti sbagliati. Non perché fossero sbagliati in assoluto, ma semplicemente non erano più adatti a me per come ero io in quel momento.”

Avviene così un primo sblocco della situazione, capisce di dover cercare altrove quello che in quel momento potesse essere giusto per lei.

“Anche se la noia non è stata facile da gestire per me che sono impaziente di natura,
ho capito che stare è l’anticamera del volare.”

È in questo frangente che si inserisce il percorso che Martina fa con Piano C per la tua Carriera.

“Avevo deciso di cambiare lavoro e cercavo un accompagnamento. Mi sono iscritta e, una settimana dopo, ho ricevuto la chiamata da La Fabbrica. È stata un po’ una serendipity: io avevo già attivato questo desiderio però è avvenuto tutto prima che io me lo aspettassi.”

Nonostante la chiamata inaspettata, Martina decide comunque di partecipare a Piano C per la tua Carriera

“Sono contenta di averlo fatto proprio perché mi ha accompagnato in questa fase delicata di passaggio: mi ha aiutato a fare chiarezza da che cosa mi stava allontanando e verso cosa stavo andando e soprattutto nel cambiamento da una zona di comfort a un ruolo del tutto nuovo per me.”

Il fil rouge di Martina

Infatti quando Martina legge la job description per la posizione di Education project manager su LinkedIn si rende subito conto di non avere la formazione verticale che richiedeva. Ma quell’annuncio parlava di tanti aspetti della sua vita: i progetti nelle scuole, lo sport, la scrittura di progetti, la formazione. E poi c’era il purpose dell’azienda, era quello che l’aveva attirata prima di tutto.

Ed eccolo il fil rouge di Martina legato alla parte formativa, al voler trasmettere contenuti, emozioni, relazioni alle nuove generazioni. Prendersi cura dei giovani offrendogli strumenti di crescita consapevoli.

Lo stesso obiettivo che si pone quando è in campo, ad allenare i suoi pulcini o le sue bimbe “baskettare”.

“Il mio modo di essere istruttrice non è finalizzato a insegnare la tecnica, questa è secondaria, ma a dare ai bambini e alle bambine degli strumenti per fare delle scelte consapevoli, anche in uno sport veloce come quello del basket; ad acquisire autonomia e ad assumersi la responsabilità dei propri comportamenti nei confronti dei compagni perché nel momento in cui stai in un team ogni cosa che fai ha un impatto sull’altro e questo comporta una serie di conseguenze.”

Martina non vuole far altro che restituire quello che ha ricevuto in tanti anni di basket a livello agonistico: gli strumenti che le hanno permesso di muoversi nel mondo con più sicurezza e autostima diventando una donna lavoratrice indipendente.

Il Basket, a Varese una religione, per Martina una grande passione

Al di là dei cambi di lavoro, l’unica cosa rimasta fissa è infatti il suo essere istruttrice di minibasket.

Dal 2016 inoltre fa parte dello staff regionale della Lombardia come formatrice per la Federazione Pallacanestro Italiana dei futuri istruttori e istruttrici.

E una volta alla settimana allena la sua squadra, i pulcini di 5/6 anni. Non solo, da quest’anno ha dato il via a un gruppo di sole bimbe dalla terza elementare alla prima media. Da settembre in cui c’erano solo 3 iscritte hanno chiuso l’anno con 20, segnale che qualcosa si sta muovendo.

“Con questo progetto vogliamo promuovere il minibasket femminile e scardinare un po’ lo stereotipo che il basket sia uno sport maschile. Quando ho iniziato io a fare basket nel 95, ero 1 bambina su 100. Oggi su 150 bambini, 50 sono bambine.”

Mai smettere di farsi domande

“Mi sono accorta di quali sono gli aspetti positivi di avere un percorso non lineare: aver tanti punti di vista che puoi portare in azienda. E poi, quello che ho scoperto grazie al percorso che ho fatto con Piano C è che veramente ho tantissime possibilità. La cosa che mi ha colpito molto e che non avevo per nulla realizzato e di cui non avevo preso consapevolezza, è il fatto che, ok, comunque ho fatto tante cose che quindi evidentemente posso farne tante altre ancora.”

Così come l’esperienza sportiva le ha insegnato a gestire l’errore, come un’opportunità di aggiungere un pezzo alla propria storia, accrescere le competenze. È normale avere paura quando ci si butta in un’esperienza nuova ma deve essere una paura sana, stimolante e non paralizzante.

“Credo che la chiave sia non smettere mai di farsi domande: mi faccio continuamente domande, se quello che faccio è in linea con chi sono. Aggiornare sempre anche i propri desideri, la propria visione di sé, penso sia fondamentale per essere veramente soddisfatti di quello che si fa.
E quindi io sono sempre alla ricerca di questo.”