Che storia! Maura Morales Bergmann 14 Novembre 2023

Maura Morales Bergmann, è direttrice della fotografia per il cinema e i documentari. Una vita tra Italia e Cile alla riscoperta delle proprie origini. La forza scatenante del suo lavoro? Curiosità infinita, alimentata dall’arte in tutte le sue forme, da una perenne ricerca e dal non sentirsi mai arrivata.

a cura di Fabiola Noris

“Mi costa un po’ dire direttrice perché mi ricorda quella della scuola.
Direi più directora, con un richiamo allo spagnolo.”

Parte così l’intervista a Maura Morales Bergmann, directora della fotografia tra le più ricercate nel cinema italiano: con un accento sulla definizione della sua professione che è stata per anni un settore prevalentemente maschile.

Esistono lavori da uomini e lavori da donne?

Le ragioni, racconta Maura sono sia fisiche che culturali. Le attrezzature sono effettivamente molto pesanti e a lungo andare il fisico ne risente, ma non solo. Nel settore cinematografico, l’organizzazione è piramidale: la direttrice della fotografia è il braccio destro del regista, al di sotto si trova ad avere a che fare con tre reparti, operatori, macchinisti ed elettricisti.

“È sempre stato un lavoro principalmente maschile,
anche perché nella mentalità dell’epoca una donna non poteva comandare tre reparti.”

E le cose stanno migliorando anche se lentamente, considerando che quando Maura ha iniziato 20 anni fa erano in sole 4 donne, ora invece su circa 130 professionisti ci sono più di 20 direttrici della fotografia.

Maura non nasconde la difficoltà dei primi anni, in cui per dimostrare di non essere da meno dei colleghi uomini, soprattutto per quanto riguardava la parte fisica del lavoro, ha dovuto scendere a patti con la propria parte femminile.

“All’inizio la prima reazione è di sotterrare il tuo femminile.”

Ma con il passare degli anni, una maggiore sicurezza e confidenza in sé stessa, l’hanno resa più consapevole per cui la sua femminilità non era un qualcosa da nascondere ma anzi un valore aggiunto alla sua professionalità.

Ah la Patagonia!

“Non avevo la più pallida idea che esistesse il direttore della fotografia.”

La passione per la fotografia arriva con un viaggio, un regalo che le fa il padre per la maturità chiedendole di accompagnarlo mentre lui lavora a un documentario.

La Patagonia! È un’amante difficile. Lancia il suo incantesimo. Un’ammaliatrice! Ti stringe nelle sue braccia e non ti lascia più.

Questa frase di Chatwin racconta bene quello che è accaduto a Maura, un’incantesimo che le ha indicato la via. É stato proprio questo viaggio fatto con il padre in Patagonia, con la sua luce infuocata, i colori caldi e avvolgenti, gli orizzonti infiniti, a far scaturire in Maura il desiderio di intraprendere la via della fotografia.

“In Patagonia ho scattato come una pazza, ho rubato una piccola telecamera a mio padre e da lì ho iniziato a chiedermi cosa fare.

Il cinema nelle vene

La regista?
Era una risposta quasi scontata. Questo avrebbe fatto da grande.

Maura infatti è cresciuta fin da piccola nell’ambiente televisivo, la passione per il cinema è scaturita in maniera del tutto naturale in lei, fin da bambina, quasi inconsapevolmente. Il padre, per 30 anni regista in Rai, il sabato sera la portava al lavoro durante le dirette dei programmi a cui lavorava. Maura cresce circondata da obiettivi, pellicole e luci.

Quando si tratta di scegliere cosa fare da grande, le viene spontaneo proseguire sulle orme del padre. Decide così di candidarsi al Centro Sperimentale per fare Regia.

Per caso viene a sapere che una sua amica si è candidata per il corso in Fotografia e vista l’esperienza Patagonica decide di provarci.

Viene presa.

La gavetta

Nel corso erano in 6, lei la più piccola, i suoi compagni arrivavano da scuole di fotografia, e il suo maestro non la trattava di certo con i guanti di velluto.

“All’inizio ero la pecora nera, ma solo dopo ho capito che il suo comportamento nei miei confronti era per forgiarmi: sul set devi essere un leader, la decisione la prendi tu, gli altri eseguono.”

Non c’è spazio per l’incertezza.

A 23 anni Maura termina gli studi e inizia a lavorare. Decide di rimanere in Italia proprio perché non c’erano donne che facevano questo lavoro.

“Mi sono data la zappa sui piedi da sola perché se fossi andata all’estero sarei decollata in meno tempo. Rispetto ai miei colleghi uomini qui in Italia c’è voluto di più.
Adesso non mi lamento: sono riconosciuta e faccio i lavori che mi piacciono.”

Requisito necessario: la curiosità

Il lavoro di Maura inizia con il leggere la sceneggiatura e lasciare libera la mente di immaginare. Per mettere a terra tutti i pensieri inizia così la prima fase di ricerca ispirativa.

“Mi ispiro alla mia collezione di libri d’arte, artisti e fotografi, cerco un primo riferimento come punto di partenza per trovare la giusta ispirazione. Dopo di che passo all’operatività: squadra, budget, sopralluoghi.”

Maura lavora non solo a progetti cinematografici ma anche ai documentari. All’inizio li snobbava un po’, ora invece sono diventati una componente importante della sua professione ed è lì che la curiosità smuove ancora di più terreni inesplorati. Conoscere nuove persone, nuove storie, nuovi territori.

La curiosità nel suo lavoro è fondamentale, non solo per trovare la giusta intuizione da qui iniziare a costruire la fotografia ma anche a livello formativo. La tecnologia in questo settore è in continuo divenire, è impossibile fermarsi. Ogni mese esce un nuovo obiettivo, una nuova luce, una nuova tecnica da studiare.

“Quello che ripeto ai miei studenti è che la curiosità e la passione sono le prime armi del nostro lavoro.”

Maura infatti insegna anche al Centro Sperimentale di Cinematografia e alla Scuola d’arte cinematografica Volonté di Roma.

L’insegnamento le permette di continuare ad apprendere e restituire ciò che sa alle nuove generazioni, dando il suo personale contributo anche al superamento della disparità di genere in questo settore.

Ritorno alle origini

Maura porta nel suo doppio cognome un intreccio di culture che esplode in maniera delicata nei suoi progetti, un sussurro che squarcia la luce.

E anche se non vuole fare la regista le capita, nel poco tempo libero che le rimane tra un film e l’altro, che la necessità di riscoprire le sue radici bussi prepotentemente alla porta.

É ciò che è successo con Entierro, il suo primo documentario da regista, candidato al David di Donatello nel 2021.

Entierro racconta la vita della sua maestra d’arte, la zia cilena Carmengloria Morales, pittrice di fama internazionale. Un progetto che si è trasformato in divenire: un incendio ha devastato la casa della zia, un trauma da rielaborare, le opere andate in cenere, il cuore a brandelli.

Tra i nuovi progetti a cui si sta dedicando Maura c’è un racconto speciale con cui è cresciuta: la storia di suo nonno. Uomo politico negli anni 40, fu il Ministro dell’interno che fece entrare il Cile nella seconda guerra mondiale firmando un trattato segreto con il presidente Roosvelt. Il suo secondo documentario sta così prendendo forma.

La luce

Quello che di certo non manca nella storia di Maura è il sacro fuoco della passione che qua prende la forma della luce, da cui tutto ha inizio.

“Mi ero innamorata della luce.”

I momenti difficili non sono mancati ma ora Maura si dedica ai progetti che sente in linea con il suo essere, cerca di scegliere i film che possono dare qualcosa in più allo spettatore, una riflessione, un messaggio.

La soddisfazione più grande?

“Quando il regista ti dice hai messo in immagine quello che si è immaginato.”

E la riscoperta del piacere di girare documentari, l’opportunità di scoprire posti e persone nuove, con sguardi e punti di vista differenti. Una ricchezza unica.

“Non faccio questo lavoro per soldi o per diventare famosa,
lo faccio perché penso che il cinema è un grande strumento di comunicazione.”

La direttora consiglia

Maura oggi è una delle direttrici della fotografia più stimate e ricercate.

Anita Caprioli, Marina Cicogna, Alessio Boni, Nicole Grimaudo, Antonia Liskova, Nina Zilli, Nanni Moretti, Alessandro Preziosi, sono solo alcuni dei nomi di attrici, attori e registi che hanno lavorato con lei.

E poi c’è Libero De Rienzo, attore straordinario e grande amico di Maura purtroppo scomparso prematuramente, con cui ha collaborato in una veste un po’ insolita.

“Mi hanno offerto di fare un film con lui come attore ma anche come operatore. La sua passione era fare l’operatore ed è così che in Restiamo amici di Antonello Grimaldi è diventato il mio OPERATTORE.”

Come non cogliere dunque l’occasione di farsi consigliare tre cinema da cui iniziare per scoprire il suo lavoro?

Maura consiglia di partire da qui:

E ovviamente Entierro.

Entierro è lei.